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L’intero ordinamento canonico è caratterizzato “dal senso di maternità della Chiesa e dalla premura dei suoi Pastori nella cura del gregge e nella ricerca della pecorella smarrita”: ciò lo rende peculiare e completamente diverso da quello statuale. Esso, quindi, ha come finalità suprema la salvezza delle anime.

Questo è un primo dato imprescindibile e fondamentale che serve a chiarire molti dubbi, incertezze, dilemmi di vario tipo.

Problema emergente nella società attuale è, purtroppo, il fallimento dei matrimoni. E di fronte a questa realtà bisogna prendere atto di un secondo dato, complementare al primo: la Chiesa non lascia mai soli i credenti che si trovino in situazioni matrimoniali irregolari.

Pertanto, vi sono luoghi comuni da sfatare, primo tra tutti pensare ad un atteggiamento negativo e  di distacco da parte dei pastori d’anime nei confronti di queste persone.

La prassi canonica tende a contemplare le situazioni più complesse e difficili proprio per aiutare costoro, le persone bisognose in genere, a “salvare la loro anima”: in termini molto spiccioli questo il concetto di salus animarum, di cui sopra. La legge suprema della Chiesa, quindi, è il bene delle anime, che è un bene assolutamente spirituale.

Quando, dunque, ci sono situazioni in cui la vita matrimoniale è gravemente compromessa, quali gli aiuti?

Essi riguardano le varie fasi in cui la coppia si trova, dalla crisi coniugale a situazioni già definite, ad esempio con una sentenza di divorzio (cfr. Separati, divorziati e risposati civilmente).

Innanzitutto, i coniugi devono essere consapevoli della vera essenza della realtà matrimoniale.

Si tratta del “consortium totius vitae, indole sua naturali ad bonum coniugum atque ad prolis generationem et educationem ordinatum, a Cristum Dominum ad sacramenti dignitatem inter baptizatos evectum” (can.1055, §1 c.j.c.), ovvero “il consorzio di tutta la vita, ordinato per sua natura al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole, elevato alla dignità di sacramento tra i battezzati”. Tale canone comprende elementi tradizionali ed elementi nuovi tratti dalla Cost. Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, n.48.

Pertanto, il matrimonio non è solo un contratto, ma, fra i battezzati, possiede una dimensione nuova, che non può essere compresa se non da chi ha fede. E’ anche un sacramento.

Dal sacramento - ricorda il can. 1056 c.j.c. - deriva al matrimonio cristiano una particolare stabilità in ordine all’unità e alla indissolubilità. Il divorzio costituisce, così, una delle più gravi violazioni della legge di Dio. Giovanni Paolo II nella Es. Ap. Familiaris Consortio insegna: “… è dovere fondamentale della Chiesa riaffermare con forza la dottrina della indissolubilità del matrimonio… Testimoniare l’inestimabile valore dell’indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti del nostro tempo…”.

Pertanto, si richiede un impegno quotidiano e costante dei coniugi nell’affrontare le difficoltà che inevitabilmente si incontrano, soprattutto, nei primi tempi. Anzi, le difficoltà stesse, se accettate con animo sereno e volenteroso, aiutano nella crescita la coppia e la preparano ad affrontare e fronteggiare responsabilità sempre maggiori che emergeranno in futuro. Sacrificio, oblatività, mutuo soccorso sono concetti che i coniugi devono ben assimilare per il buon andamento del loro matrimonio.

Tuttavia, se da soli i coniugi non riescono a superare le loro difficoltà o una situazione di crisi, allora il primo passo da fare è rivolgersi al proprio Vescovo diocesano o ad un suo delegato ad hoc per ricevere conforto spirituale, consigli e suggerimenti. Essi si indirizzeranno proprio ad una maggiore comprensione della realtà matrimoniale, e, ove possibile, a risanare i contrasti tra i coniugi, raccomandando il perdono e la riconciliazione.

Sarà cura dei pastori di anime e della comunità ecclesiale discernere le varie situazioni caso per caso non per esprimere un giudizio morale ma per individuare concreti aiuti pastorali e suggerire cammini di conversione.

Vi sono numerosi canoni nel Codice di Diritto Canonico, molto belli sulla possibilità di operare una riconciliazione, secondo i principi della carità cristiana.

Ad esempio, nei canoni relativi alle cause di  separazione canonica, tanto nelle norme procedurali che in quelle “sostantive”, così come succede in numerosi canoni che riguardano le cause di nullità matrimoniale, si ribadisce il concetto della necessità del tentativo di riconciliazione. In linea di massima, tutte le volte che (quotiescumque) si prospetti una speranza di buona riuscita, il giudice, il Vescovo, il consulente o altra figura, deve far di tutto, valendosi dei mezzi pastorali, per indurre le parti a riconciliarsi. Si tratta, quindi, di un obbligo giuridico oltre che morale.

Molto bello il can. 1155 c.j.c. che, sempre insistendo sulla riconciliazione degli sposi, afferma che, dopo una legittima separazione, la riammissione alla vita coniugale del coniuge colpevole da parte di quello innocente costituisce un “gesto che merita lode”.

Così anche il can. 1152, § 1 c.j.c. che raccomanda al coniuge-vittima del tradimento, il perdono della comparte adultera, “mosso da carità cristiana e sollecito del bene della famiglia”. Ancora, lo stesso canone al § 2 insiste sullo stesso punto quando dice che la competente autorità ecclesiastica, prima di iniziare il processo di separazione, deve tentare, se possibile, di indurre il coniuge innocente a perdonare la colpa e a ristabilire la convivenza coniugale.

Parimenti, anche quando viene introdotta una causa di nullità matrimoniale, il can. 1676 c.j.c. rinnova l’obbligo al giudice, il quale, prima di accettare una causa e ogni volta che intravede una speranza di buona riuscita, deve adoperare i necessari mezzi pastorali per indurre i coniugi, se possibile, al ristabilimento della vita coniugale. E ciò è possibile in tutte le fasi del giudizio.

In via generale, anche il can. 1446 § 2 c.j.c. raccomanda il tentativo pastorale di conciliazione fra le parti.