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Quale l’atteggiamento della Chiesa nei riguardi dei separati, dei divorziati e di quanti si trovino in situazioni irregolari?

Nei casi in cui non sia possibile il perdono e la riconciliazione tra gli sposi, la Chiesa non può esimersi dall’obbligo di risolvere in qualche modo quelle “situazioni patologiche” che sono ostative alla salvezza delle anime.

Quali, allora, gli aiuti concreti?

Unica via per regolarizzare la propria posizione e rientrare nella pienezza della comunione ecclesiale è intraprendere una causa di nullità matrimoniale. Qualora, però, non vi siano i presupposti per avviare tale causa o, perlomeno, richiedere la c.d. separazione canonica (di cui ai cann. 1151 e ss. c.j.c.) , i pastori di anime aiuteranno i separati e i divorziati a vivere comunque la propria fede, accettando anche quelle necessarie limitazioni che, molto spesso, rimangono incompresi o mal tollerati.

 

I SEPARATI

I separati sono quei cristiani che hanno celebrato il matrimonio in Chiesa e che interrompono la convivenza coniugale, rimanendo però fedeli al vincolo, che resta indissolubile.

La Chiesa riconosce la possibilità della separazione fisica degli sposi, da intendersi come periodo di riflessione, finalizzato al perdono e alla risoluzione dei conflitti per ristabilire la vita coniugale.

La condizione dei separati è ancora proclamazione dell’indissolubilità matrimoniale. Pertanto, costoro possono accostarsi ai sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia, purché adempiano i doveri generali della vita cristiana, mantengano viva l’esigenza del perdono e s’interroghino sinceramente sulla disponibilità o meno di riprendere la vita coniugale. Possono fungere da padrino o madrina nei sacramenti del Battesimo e della Cresima.

 

I DIVORZIATI NON RISPOSATI

Si tratta di coloro che ottengono dallo Stato la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, celebrato in Chiesa, decorsi i tempi previsti dalla separazione legale. Ovviamente il carattere sacramentale non si cancella ma rimane per sempre.

Bisogna distinguere tra coloro che hanno subìto il divorzio e coloro che lo hanno causato.

a)      La Chiesa esprime piena stima nei confronti di quelle persone che hanno subìto il divorzio, i quali si sono ritrovati a dover accettare tale situazione, voluta o causata dall’altro coniuge, ad esempio quando il divorzio è l’unico modo per assicurare certi legittimi diritti, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio. Già il fatto stesso di aver ricevuto un’umiliazione nel subire il divorzio rende necessaria e più viva la testimonianza da parte della Chiesa del suo amore materno. Pertanto, queste persone, che non si sono lasciate coinvolgere da una nuova unione, sono ammesse a tutti i sacramenti.

b)      Coloro che hanno chiesto  o provocato il divorzio con un proprio comportamento moralmente scorretto, i quali non si sono riaccompagnati, possono accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia solo se sinceramente pentiti, se disponibili a riparare il male compiuto e se si professano davanti al proprio confessore sempre legati davanti a Dio dal proprio vincolo matrimoniale, impossibile ormai ad essere ristabilito per motivi moralmente validi.

 

I DIVORZIATI RISPOSATI

Sono coloro che, dopo aver ottenuto il divorzio, passano ad una nuova unione civile, ponendosi così in una condizione oggettiva irregolare, in contrasto col Vangelo che proclama l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

Nel vecchio Codice di Diritto Canonico del 1917, i divorziati, ovverosia i concubini, erano considerati ipso facto infames (can.2356) e publice indigni (can. 855 §1), cioè pubblici peccatori,  perciò venivano scomunicati ed era loro vietata la sepoltura in terra consacrata al pari delle persone che si suicidavano.

Con il Concilio Vaticano II la Chiesa ha mitigato la sua posizione: non c’è più l’esclusione dalla comunità, cioè la scomunica.

Nella Es. Ap. Familiaris Consortio del 1981, il Santo Padre Giovanni Paolo II scrive: “… I divorziati risposati non devono considerarsi fuori dalla Chiesa, perché possono, anzi dovrebbero, in virtù del loro battesimo, partecipare alla vita della chiesa…”.

Quindi, con il battesimo si viene incorporati nel Popolo di Dio, tra i christifideles (can. 204 c.j.c. ‘83), per cui anche i fedeli divorziati risposati rimangono membri del Popolo di Dio perché hanno ricevuto il battesimo e conservano la fede cristiana e come tali non sono esclusi dalla Chiesa, anche se non sono nella pienezza della stessa comunione ecclesiale. Per questo motivo queste persone non possono essere ammesse al Sacramento dell’Eucarestia, come ribadisce il can. 915 del nuovo Codice del 1983, nella parte in cui si riferisce  a coloro che “ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”, quali i divorziati risposati, i concubini, gli sposati solo civilmente, poiché sono in continuo stato di peccato (cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 1981, Reconciliatio et paenitentia, 1984). Ricevere l’Eucarestia presuppone una vita di piena comunione con Cristo e con la Chiesa.

Non possono celebrare il sacramento della Riconciliazione in quanto esso esige che il peccatore non soltanto si penta del peccato ma che sinceramente si proponga di non commetterlo più. Il perdurare di una unione che non è nel Signore impedisce ciò. La fedeltà al Vangelo è imprescindibile.

Sono esclusi dai sacramenti anche le persone libere che decidono di avviare una convivenza o un matrimonio civile con una persona separata o divorziata perché sanno che con essa non potranno realizzare un matrimonio cristiano. La Chiesa deve esercitare un servizio di verità nel richiamare costoro alle conseguenze delle loro scelte.

Il Santo Padre nella Familiaris Consortio puntualizza: “Coloro che soffrono per relazioni familiari difficili hanno bisogno in modo particolare dell’amore pastorale e la Chiesa è chiamata ad essere loro vicina secondo l’esempio di Gesù, che non escludeva nessuno dal suo amore. Essa si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza… La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza…”.

Pertanto, anche a chi vive una situazione matrimoniale irregolare Gesù propone un cammino di conversione, nel quale ha il suo valore un particolare impegno nell’amare le persone vicine, educare i figli nella fede cristiana, partecipare alla vita della comunità, essere attivo nella carità e nell’impegno sociale. Costoro hanno particolarmente bisogno di porsi all’ascolto della Parola di Dio,  partecipare alla Santa Messa,  perseverare nella preghiera, fare opere di penitenza per implorare la misericordia divina.

Devono, così, sempre sperare nella grazia di Dio, unico giudice delle coscienze.

Poiché queste persone non vivono pienamente la comunione ecclesiale, non possono svolgere i servizi liturgici, come quelli di lettore, catechista, ministro straordinario della Comunione, membro dei consigli pastorale. Non possono fare da padrino o madrina nel Battesimo, in quanto il can. 874 c.j.c. prescrive anche che si conduca una vita coerente con la fede e con l’impegno che si sta per accettare.  Non sussistono, invece, ragioni intrinseche per impedire che un divorziato risposato funga da testimone nella celebrazione del matrimonio. Tuttavia, saggezza pastorale richiede di evitarlo, per il chiaro contrasto che esiste tra il matrimonio indissolubile di cui il soggetto si fa testimone e la situazione di violazione della stessa indissolubilità che egli vive personalmente.

Per evitare di indurre i fedeli in errore e confusione sulla dottrina dell’indissolubilità, non solo è negata l’Eucarestia, ma lo stesso Pontefice raccomanda di evitare celebrazioni che potrebbero dare la parvenza di nuove nozze sacramentali, quali la benedizione degli anelli, a favore di queste persone che vivono situazioni irregolari: “… è proibito per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere” (Es. Ap. Familiaris Consortio).

Parimenti, per evitare lo scandalo, qualora ricorrano le condizioni per ammettere un divorziato risposato ai sacramenti, bisogna farlo in una chiesa dove non sia conosciuto (Es. Ap. Familiaris Consortio).

Viene meno un impedimento oggettivo per accedere ai sacramenti quando i due decidono  di vivere insieme ma astenendosi dai rapporti sessuali, come fratello e sorella per mutuo aiuto e sostegno, a causa dell’età avanzata, della malattia o altri motivi analoghi, se cessa la convivenza, se c’è separazione o divorzio del matrimonio civile o morte del coniuge.

Sulla cura pastorale dei divorziati risposati o conviventi, comunque dei credenti che si trovino in situazioni irregolari, la CEI ha pubblicato una Nota molto esaustiva in materia, dal titolo “La pastorale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni matrimoniali irregolari e difficili”, del 26 novembre 1979, che di seguito si riporta, nella quale si troveranno più puntuali delucidazioni.

1.      I divorziati che passano a nuove nozze civili, o si distaccano totalmente dalla Chiesa, o non hanno la piena coscienza che la loro unione sia contro la volontà di Cristo e della Chiesa o, pur consapevoli che il loro stato di vita è in contrasto con il Vangelo, continuano a loro modo la vita cristiana e a volte desiderano accostarsi ai sacramenti. In questa ultima ipotesi:

a)      La loro condizione di vita è in contrasto con il Vangelo, che esige il matrimonio unico e indissolubile; tuttavia essi, in forza del battesimo, sono e rimangono cristiani e membri del popolo di Dio.

I divorziati risposati civilmente hanno particolarmente bisogno di porsi in ascolto della parola di Dio proclamata dalla Chiesa, non solo per conservare la fede ricevuta col battesimo, ma anche perché, conformandosi ad essa, ritornino a vivere il matrimonio cristiano indissolubile.

E’ quindi auspicabile che prendano parte agli incontri di catechesi, alle celebrazioni penitenziali e alla messa, anche se non possono ricevere la comunione eucaristica perché l’eucaristia significa e realizza la pienezza dell’unione a Cristo e al suo corpo che è la Chiesa, e che i divorziati risposati hanno infranto e non intendono restaurare con una vita moralmente regolare.

I divorziati risposati non possono svolgere nella comunità ecclesiale quei servizi che esigono una pienezza di testimonianza cristiana, come sono i servizi liturgici e in particolare quello di lettore, di catechista, di padrino per i sacramenti.

b)      I divorziati risposati civilmente non possono celebrare il sacramento della riconciliazione, in quanto il sacramento esige che il peccatore non solo si penta, ma che sinceramente proponga di non più commetterlo.

c)      Quando la situazione dei divorziati risposati non presenta una concreta reversibilità per l’età avanzata, o la malattia di uno o di ambedue, la presenza di figli bisognosi di aiuto e di educazione o altri motivi analoghi, la Chiesa li ammette all’assoluzione sacramentale e alla comunione eucaristica in una chiesa dove non siano conosciuti, per evitare lo scandalo, se, sinceramente pentiti, si impegnano a interrompere la loro reciproca vita sessuale e a trasformare il loro vincolo in amicizia e aiuto vicendevole.

d)      La celebrazione dei funerali religiosi non è vietata per quei fedeli che, pur trovandosi prima della morte in una situazione di pubblico peccato, hanno conservato il loro attaccamento alla Chiesa e hanno manifestato qualche segno di pentimento, a condizione però che sia evitato il pubblico scandalo per gli altri fedeli (Congregazione per la dottrina della fede, 29 maggio 1973).

2.      Quando i cattolici sposati solo civilmente chiedono di regolarizzare la loro situazione, occorre procedere con prudenza pastorale ad accettare i motivi della richiesta, alla luce della scelta precedentemente fatta in contrasto con la legge della Chiesa.

Dovrà constare che i nubendi sono sinceramente pentiti e disposti a rimettersi in piena comunione con la Chiesa, e si dovrà esigere una particolare preparazione anche dal punto di vista della catechesi cristiana del matrimonio.

Più delicato è il caso in cui la persona cattolica sposata solo civilmente è separata dal coniuge e, in attesa di ottenere il divorzio, chiede di celebrare il matrimonio solo religioso con una terza persona canonicamente libera. Anche se il richiedente risulta “libero” di fronte alla Chiesa, si deve procedere con grande equilibrio ed equità verso tutte le persone implicate nella situazione. Normalmente non si concede la celebrazione del matrimonio solamente religioso con una terza persona finché la vicenda del precedente matrimonio civile non sia conclusa con una regolare sentenza di divorzio. Nei singoli casi deve essere consultato l’Ordinario del luogo. Non è lecito ammettere ai sacramenti della penitenza e della comunione eucaristica i cattolici sposati solo civilmente, sino a quando permangono in questa situazione di vita difforme dal Vangelo.

3.      L’eventuale colpa dei genitori nelle situazioni matrimoniali irregolari non deve coinvolgere i figli, i quali hanno diritto ad una educazione cristiana che i genitori si sono impegnati a dare  celebrando il sacramento del matrimonio. Quando sono gli stessi genitori a chiedere per i figli il battesimo, la comunione eucaristica, la confermazione, debbono garantire che sarà data ai figli una vera ed adeguata educazione cristiana.

Se i genitori non offrono sicura garanzia di impegno educativo, deve essere data particolare importanza ai padrini e ai parenti prossimi che siano in grado di aiutare o di sostituire i genitori nel compito educativo.

Nel caso che la richiesta del battesimo per il figlio sia presentata da genitori conviventi o sposati solo civilmente e che potrebbero regolarizzare la loro posizione anche religiosamente, il sacerdote li esorti a farlo prima di procedere al battesimo, per superare la loro situazione irregolare e la domanda di battesimo.

Nella richiesta della comunione eucaristica e della confermazione, il giudizio e la decisione pastorale faranno riferimento non solo alla situazione e alla disponibilità dei genitori, ma anche alla crescente personalità dei figli, alla loro formazione e al loro inserimento in comunità cristiane vive e impegnate.